Da anni la flat tax è un cavallo di battaglia dell’attuale compagine governativa nazionale. La proposta più articolata è stata elaborata dall’Istituto B. Leoni e prevede: un’unica aliquota del 25% per i principali tributi (Irpef, Ires, Iva ordinaria, imposta sostitutiva sui redditi da attività finanziarie); la soppressione di altri tributi (Irap, Imu, Tari …); l’erogazione di un “minimo vitale” alle famiglie meno abbienti; che alcuni servizi pubblici (sanità e università, per esempio) cessino di essere erogati quasi gratuitamente a tutti. L’ attuale Irpef risulterebbe profondamente modificata. L’aliquota del 25% si applicherebbe al reddito famigliare, e non come ora a quello individuale, sarebbero eliminate quasi tutte le deduzioni e tutte le detrazioni, e la soglia della no tax area fissata a 7 mila euro annui.
Trovo assai stravagante che le critiche all’aliquota piatta evochino il principio costituzionale sulla progressività del sistema tributario sancito nell’art. 53. Si possono muovere solide obiezioni di principio, ma è bene nell’attuale ordinamento tributario italiano, moltissimo è già flat. Il regime forfettario per i redditi da lavoro autonomo sotto gli 85 mila euro di fatturato (15% sul reddito netto ai fini Irpef, Irap e Iva); l’imposta sugli utili delle società (26%); l’imposta sostitutiva sui redditi da attività finanziarie (26%, 12.5% sui titoli di Stato europei); le cedolari secche sulle locazioni immobiliari (non oltre il 21%). Tralasciando le imposte di successione, altri numerosissimi esempi si rintracciano per redditi di impresa, da lavoro autonomo e non solo: l’elenco si accorcia drasticamente se si passa a ciò che non è flat. Di fatto, di (modestamente) progressivo si osserva la sola imposta sui redditi medio-bassi da lavoro dipendente o da pensione.
Non è dunque agevole trovare conferma del dettato costituzionale secondo il quale “…. Il sistema tributario è informato da criteri di progressività”. Quindi, siccome si parla di sistema, non di una imposta specifica, e poiché una delle due componenti del reddito, quello da lavoro, è già tassata con aliquote crescenti, la coerenza col principio costituzionale richiederebbe di perseguire tale progressività o nella maggiore tassazione dei redditi da capitale (mobiliare e immobiliare) e/o della ricchezza, oppure, soprattutto, allargando le basi imponibili (di Irpef, Ires, Irap, Iva) erose dall’evasione fiscale.
Le estemporanee elucubrazioni sulla flat tax sembrano rientrare nella sfera mentale delle ludopatie. A proposito delle quali, invece, si assiste ad un prolungato disinteresse. Perché, il dato è noto a pochi, tra le entrate extratributarie dello Stato, nel 2024, spiccano circa 160 mld di euro da “giochi e lotterie”: si tratta, in media, di 6.000 euro annui a famiglia, quasi 500 euro al mese. E sicuramente molte di queste famiglie si trovano in una situazione economica, reale e/o dichiarata, che li esenta per esempio dai ticket sanitari. Quei ticket introdotti per dare un piccolo contributo ai 135 mld del FSN finanziati prevalentemente dalla fiscalità generale e utilizzati anche per contrastare fenomeni crescenti di ludopatia. Paradossi nei paradossi. Adoperiamoci allora affinché la spesa degli italiani, di tasca propria o come contribuenti, si sposti dalla dea bendata alla salute.