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Debito pubblico e sovranismo straccione

di Andrea Landuzzi
7 Gennaio 2025
in Economia
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Uno degli slogan più amati dai sovranisti nostrani è quello di “essere padroni a casa nostra”, che codificato in termini pratici vuol dire   non accettare lacci e lacciuoli della burocrazia di Bruxelles.

La realizzazione di questo programma va però a scontrarsi contro il problema del debito pubblico e del deficit  statale che ogni anno lo incrementa.

La nostra classe politica, di entrambi gli schieramenti, non ha il coraggio di affrontarlo ed ogni anno da ottobre a dicembre ci propina il teatrino della legge finanziaria con rimescolamenti di numeri, promesse mirabolanti e scarico di responsabilità sugli altri di questa situazione.

Pochi guardano i numeri e hanno il coraggio di non nascondere la testa sotto la sabbia.

Molti promettono azioni impraticabili  (come la riduzione delle tasse) che si concretizzano in mance miserrime utili solo a sostenere qualche slogan elettorale.

Un problema che richiederebbe una strategia di lungo periodo si trasforma nella caccia spasmodica a qualche miliardo di euro (a volte  solo qualche milione) che non si sa dove trovare.

La china che ha preso il debito pubblico italiano è micidiale perché colpisce le giovani generazioni e toglie competitività al paese.

Eppure analizzando i numeri sintetici della ragioneria dello stato e le leggi di bilancio degli ultimi anni, non è  difficile prevedere che entro pochi anni i nodi verranno al pettine.

Guardiamo due tabelle che sintetizzano i dati del deficit e l’andamento del debito degli ultimi 4 anni  (dati in Miliardi di euro)

Le entrate sono incrementate del 18,7% mentre le spese per mantenere lo stato, per i servizi che lo stato eroga e per gli investimenti sono incrementati del 13,8%.  A questa spese si aggiungono gli interessi sul debito che sono aumentati del 22,9% per effetto dell’aumento dei tassi e per l’aumento del debito.

Praticamente stabile il deficit. Il che significa che per stabilizzare il deficit in presenza di un aumento degli interessi si sono tagliati i servizi.

Oppure se preferite una lettura “sociale” per favorire i ricchi che usufruiscono di una rendita sui titoli di stato, si sono svantaggiati i poveri che hanno visto ridursi i servizi.

Pochi sottolineano che il deficit tra entrate ed uscite è stabilmente attorno al 30% perché trovano più conveniente confrontare il deficit con il PIL del paese. E’ così che si ripete come un mantra che dobbiamo puntare ad un rapporto deficit/pil del 3% (un  dato che sembra più rassicurante) e che per fare questo è sufficiente aumentare il PIL. Premesso che  rapportare il  deficit come numeratore con il PIL a denominatore è un criterio definito dalla Comunità europea, l’aumento del PIL a parità del deficit del 3% significa continuare ad aumentare il debito in valore assoluto.

Come nelle aziende i debiti sono certi mentre i fatturati attesi sono incerti, così nello stato la crescita del PIL è quanto di più incerto possa prevedersi.

La crescita del PIL negli ultimi anni è derivata da una fiammata inflazionistica che sembra essere rientrata. Stante le politiche di contenimento dell’inflazione la crescita nei prossimi anni potrà avvenire solo da un aumento della competitività. Per l’Italia sotto questo punto di vista la situazione è drammatica. Chiusura di stabilimenti, ricerca azzerata, aziende che lasciano l’Italia o vengono acquisite da multinazionali straniere per portare il business all’estero. Se  qualche politico pensa che l’innalzamento del PIL è alla nostra portata o è in malafede o ha deficit cognitivo.

Se invece di parlare di percentuali si parlasse di valori assoluti, gli italiani dovrebbero rendersi conto che il 1° gennaio di ogni anno quando lo stato apre l’esercizio finanziario ha già speso il 55% di quello che incasserà. Come è possibile? Ebbene nel 2024  a fronte di 687 miliardi di euro di entrate  lo stato deve già accantonare 92 miliardi per gli interessi, 135 miliardi di trasferimento all’inps e 147 miliardi per trasferimento alle regioni. Totale 374 miliardi immodificabili (per ora) su un totale di 687 miliardi equivale al 55%.

Se poi analizziamo la situazione del debito totale rispetto al PIL la situazione è ancora più seria

I trattati europei hanno indicato nel 60% il rapporto tra deficit e PIL ed il ministro Giorgetti ha ribadito che il suo ideale sarebbe affrontare la legge finanziaria con questo rapporto. Peccato che la situazione italiana registra un rapporto del 137% (più del doppio) e nessuno ha la più pallida idea di come uscirne.

In realtà in questa situazione ci sono soggetti che traggono un grande beneficio: i detentori del debito pubblico.

Come si vede l’incremento degli interessi pagati dallo stato italiano ai detentori del debito è lievitato del 22%  in 4 anni passando da 70 a 86 miliardi di euro con un costo medio per lo stato del 3,53%.

Se pensiamo alle enormi liquidità presenti a livello mondiale, alla necessità di trovare investimenti a basso rischio, un titolo di stato italiano è una scelta molto interessante.  Infatti le aste del tesoro ricevono molte più richieste del valore dei titoli collocati.

Per ora si è retto questa rendita finanziaria tagliando i servizi, ma un evento esterno non prevedibile (covid, guerre, tensioni finanziarie su altri mercati) possono avere effetti micidiali sul PIL e  fare schizzare in alto e fuori controllo il mitico rapporto Debito/PIL.

Interrompere questa spirale perversa richiede soluzioni coraggiose  da parte di forze politiche anche di orientamento opposto. Purtroppo allo stato attuale questa premessa è irrealizzabile.

I tre fattori che causano la crescita del debito sono facilmente individuabili:

  1. “cattiva spesa” da parte dello stato e degli enti locali
  2. evasione fiscale
  3. interessi sul debito

Ognuno di questi tre fattori può essere risolto solo con soluzioni politiche e con un orizzonte di almeno 5 anni.

 

Vediamo azioni che se approvate porterebbero a soluzionare questi tre problemi:

1°) la “cattiva spesa“ nasce anche dalla deresponsabilizzazione di chi la attua. Non si preoccupano delle coperture (tanto c’è il ricorso al debito pubblico) ma spendono per non scontentare la loro base elettorale. In alcuni casi anche per tornaconto personale.

Per 5 anni l’impegno deve essere di portare il bilancio in pareggio in modo da togliersi dal giogo dell’obbligo di crescere il PIL. Non di ridurre il debito ma di chiudere ciò che lo alimenta.

Questo implica sicuramente politiche impopolari di tagli ma costringe soprattutto gli enti locali a cercare maggiore efficienza nella spesa ed ad essere più attenti nella riscossione delle imposte.  A questo proposito  merita ricordare lo scandalo delle cartelle esattoriali scadute e che Salvini propone in continuazione di rottamare. Questo è un esempio lampante di deresponsabilizzazione. Stiamo parlando di oltre 1.100 miliardi di cartelle esecutive  pari al 35% del nostro debito pubblico. Lo stato ne incassa ogni anno poco più del 2%.

Gli enti locali non sono immuni dalle responsabilità di questa situazione, ma ci sono grandi differenze tra gli enti stessi. Il comune di Bologna  incassa infatti oltre il 40% delle cartelle, altri praticamente 0%.

Se nei meccanismi di trasferimento agli enti locali fosse inserita una clausola che taglia i trasferimenti per un importo pari al 50% dello stock di cartelle non riscosse, probabilmente qualche amministratore locale si sentirebbe più responsabilizzato e si applicherebbe maggiormente nel riscuotere le cartelle. Sui metodi di riscossione si dovrebbe aprire un dibattito ma “si può fare”. Basta confrontarci con altri paesi europei dove il blocco del conto corrente ed il successivo prelievo di quanto dovuto dal contribuente è una prassi normale.

L’iscrizione di ipoteche sugli immobili o  i  fermi amministrativi sulle auto sono prassi normale per le banche ed i creditori verso i debitori morosi, non si capisce perché non devono essere praticate anche dallo stato nei confronti di chi non paga le cartelle esattoriali. Oltretutto è un segno di rispetto nei confronti di chi le paga.

Certo è che tra il 2% che riscuote lo stato ed il 40% del comune di Bologna ci può essere una via intermedia

Un target del 15%  significherebbe tagliare il deficit di 150 miliardi.

In alternativa un taglio lineare del 20% su tutte le voci di spesa (esclusi gli interessi) porterebbe ad un risultato simile.

 

2°) Il punto precedente tocca già l’aspetto dell’evasione fiscale, ma solo per la parte esecutiva e di riscossione. Diverso è il problema degli accertamenti dell’evasione stessa.

L’unica strada da perseguire è la possibilità di incrociare le banche dati che si ricollegano ai singoli codici fiscali e partite IVA. Catasto, dati bancari e finanziari, mobili registrati  e dichiarazione dei redditi sono oggi collegabili e l’incoerenza può essere facilmente scoperta. Basta solo volerlo e sicuramente una parte dei sovranisti  nostrani non è intenzionata ad attuarla.

 

3°)  Gli interessi sul debito pubblico possono essere ridotti solo  con l’aiuto dell’Europa e della BCE. Per questo però bisogna mettere sul piatto una rigorosa politica di bilancio che tenda al pareggio.

Se ciò avvenisse per quale motivo la BCE non dovrebbe essere disponibile a rinegoziare i Titoli di stato in scadenza ad un tasso d’interesse simbolico (esempio lo 0,1%)? Considerando che la vita media del nostro debito pubblico  è di 7 anni, alla fine di questo periodo avremmo azzerato l’incidenza degli interessi che attualmente ammonta a 90 miliardi, liberando finalmente risorse per riprendere a spendere per sanità e scuola.

Lo stato continuerebbe ad onorare i suoi debiti ma con risparmi consistenti. Una tale scelta non sarebbe gradita da mercati finanziari che speculano sugli interessi del debito pubblico ed è per questo che necessita di una grande scelta politica europea.

In sintesi gli strumenti finanziari, fiscali e di gestione della spesa pubblica esistono. Si tratta solo di metterli in pratica. Ma attenzione ad arrivare troppo tardi o quando esploderà la prossima bolla finanziaria.

L’efficienza della Pubblica amministrazione potrebbe trarre grandi benefici dall’utilizzo dell’intelligenza artificiale. Procedure più snelle e verificabili con minore utilizzo di personale. Oggi sembra un’utopia ma vorrei vedere fra 4 anni quale sarà stato l’impatto del DOGE di Musk sulla pubblica amministrazione americana. Anche qui rischiamo di arrivare in ritardo ed aumentare il gap con i paesi con più innovazione.

Nel frattempo dobbiamo tenerci Salvini, la sua rottamazione annuale delle cartelle  ed il suo sovranismo straccione buono solo per colpire i più deboli?

Andrea Landuzzi

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George Orwell, pseudonimo di Eric Arthur Blair, fu un giornalista, scrittore, attivista politico e critico letterario britannico. Nel 1936 prese parte alla guerra civile spagnola, dalla parte dei repubblicani, contro la Falange franchista. Scoprì, poco alla volta, che quella parte di forze repubblicane legate alla Unione Sovietica di Stalin erano più occupate a colpire le altre forze repubblicane che l’esercito franchista....

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Proprietà:
Rainbow Bridge APS

Direttore responsabile:
Emilio Lonardo

Comitato di Redazione:
G.F., M.M.C., N.M., A.L.

Comitato Etico:

Prof.ssa Marina Orlandi Biagi, Prof. Gianluca Gardini, Prof. Francesco Vella

 

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