La prima parte del presente articolo si basa sullo studio “Prospettive per la governance dell’UE: tra metodo comunitario, nuovo-intergovernamentalismo e parlamentarizzazione” (Giugno 2022). Lo studio è stato commissionato dal Dipartimento tematico per i diritti dei cittadini e gli affari costituzionali del Parlamento europeo su richiesta della Commissione AFCO (Commissione per gli affari costituzionali).
Il “metodo comunitario”, il metodo originariamente inventato da Jean Monnet e dai suoi colleghi, fu già messo in discussione, dalla metà degli anni ’70, da soluzioni intergovernative che da allora sono state progressivamente formalizzate.
L’obiettivo iniziale dei Padri Fondatori era quello di stabilire un sistema istituzionale in grado di affrontare in modo efficiente le numerose sfide del tempo ed evitare sistematiche divisioni e situazioni di stallo partitiche e nazionali. La maggior parte delle competenze e dei compiti, come la stesura e l’attuazione delle norme e del bilancio, le relazioni con le parti interessate e gli Stati membri, la gestione delle politiche europee e i negoziati internazionali, erano con il Trattato di Parigi dedicati all’Alta Autorità della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA), e in seguito con i Trattati di Roma alla Commissione della Comunità Economica Europea (CEE) e a quella della Comunità Europea dell’Energia Atomica (CEEA, Euratom).
Il sistema istituzionale delle Comunità non era destinato a essere democratico e a garantire la partecipazione dei cittadini, e la politica non aveva posto a livello sovranazionale. Le Comunità avrebbero dovuto costruire la propria legittimazione principalmente fornendo beni pubblici (sicurezza, crescita, libera circolazione…) e soddisfacendo le esigenze degli stakeholder e delle élite politiche, economiche e amministrative. Per quanto riguarda il processo decisionale in sé, la legittimazione era anche legale e razionale: legale, come risultato dell’attuazione dei trattati, negoziati e ratificati all’unanimità dagli Stati membri; e razionale, come risultato di un processo che dava molto spazio alle competenze e al dialogo con gli stakeholder.
Dopo la crisi economica e finanziaria del 2008 e l’istituzionalizzazione del Consiglio europeo da parte del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, (TFUE, Trattato di Lisbona) entrato in vigore il 1° dicembre 2009, abbiamo assistito all’emergere di un cosiddetto “metodo dell’Unione” che attribuisce un ruolo centrale al Consiglio europeo e si basa sul processo decisionale intergovernativo. Il Consiglio europeo e il Consiglio decidono all’unanimità (1); la Commissione e il Parlamento hanno un ruolo limitato, così come la Corte di giustizia.
Il Trattato sull’Unione europea (1993) ha formalizzato questa dualità. Il metodo dell’Unione ha rafforzato la dualità delle logiche decisionali a livello dell’UE – e ha creato una tensione costante e persino una competizione tra di esse.
Le due diverse logiche del processo decisionale dell’UE, con il passare del tempo, hanno portato ad una situazione di ambiguità e confusione istituzionale.
Quando si legge il trattato, il metodo intergovernativo sembra essere residuale e limitato alle eccezioni, ma la gestione delle recenti crisi ha dimostrato che può essere molto preponderante. Il Consiglio europeo è diventato l’organo dirigente dell’UE, sostituendo la Commissione in questo ruolo, e ha preso l’abitudine di dare istruzioni molto precise alla Commissione, anche per quanto riguarda le questioni legislative disciplinate dalla procedura legislativa ordinaria.
La logica intergovernativa non si applica solo alle questioni che sono tradizionalmente nelle mani del Consiglio europeo (difesa, sicurezza, giustizia e affari interni, allargamento…) ma a tutti i tipi di argomenti che sono considerati strategici o urgenti, o che stanno solo creando divisioni tra gli Stati membri. In questi casi, il metodo comunitario viene danneggiato, con meno autonomia per la Commissione e un ruolo inferiore per il Parlamento.
Le istituzioni principali sono ancora in vigore – con l’aggiunta dell’istituzione del Consiglio europeo – e la Commissione è ancora al centro del sistema. Quest’ultima ha però subito un doppio processo di “intergovernamentalizzazione”.
La Commissione ha favorito gradualmente testi poco ambiziosi e non controversi e ha sviluppato strumenti di “soft law”, (atti non giuridicamente rilevanti) che non necessitavano dell’approvazione del Consiglio. Il metodo comunitario era ancora lì, ma si applicava solo alle decisioni di routine (la cosiddetta ‘low politics’, ‘politica bassa’ che gravita intorno ai settori economici, finanziari ovvero maggiormente tecnici); il processo decisionale intergovernativo divenne la norma per le decisioni importanti e le politiche meno integrate (‘high politics’ ‘politica alta’ che si occupa di politica interna, la sicurezza, la giustizia, tematiche che influenzano l’identità nazionale).
Il processo decisionale è molto diverso da quella logica di “spola” tra istituzioni indipendenti. Si sono sviluppate modalità informali di costruzione del consenso per le questioni di bilancio, tramite la negoziazione di accordi interistituzionali.
Queste ripetute crisi hanno rafforzato gli organismi intergovernativi e hanno dato vita a un nuovo approccio di governance dell’UE che si basa in larga parte – almeno per le decisioni chiave – sulle istruzioni fornite dalle capitali degli Stati membri.
Il Consiglio europeo ha anche sviluppato l’abitudine di dare istruzioni precise alla Commissione in merito all’assunzione di decisioni, non solo in materia intergovernativa. Il triangolo istituzionale si è trasformato in un quadrato dove la Commissione appare come un organo ibrido di governo e segretariato generale, posto sotto l’autorità del Consiglio europeo, capo dell’esecutivo.
Questa evoluzione ha messo in discussione la governance istituzionale dell’UE. Le istituzioni comunitarie vengono sempre più marginalizzate a causa di questa tendenza alla “summitizzazione”, la fissazione con le riunioni in cui i capi di Stato e di governo, in una chiara violazione dello spirito dei trattati, prendono sempre più decisioni autonomamente e cercano di mettere il loro marchio persino sui caratteri meno rilevanti della legislazione.
La predominanza dei negoziati intergovernativi e l’esistenza di una capacità di veto di ogni Stato membro, metteva in discussione l’idea della centralità della Commissione e dell’approfondimento automatico dell’integrazione europea attraverso il processo di “spillover” (fonte di ulteriori vantaggi che avrebbe comportato una ulteriore spinta verso l’integrazione).
I neo-intergovernativisti ritengono che vi sia stata una forma di approfondimento dell’integrazione dell’UE senza “sovranazionalizzazione”.
Le soluzioni intergovernative non garantiscono un livello decente di trasparenza, controllo democratico e persino efficienza, e tendono a portare al minimo comune denominatore.
La questione è preoccupante perché le decisioni intergovernative non vengono prese solo su questioni urgenti. C’è, più in generale, una tendenza del Consiglio europeo a oltrepassare i confini delle sue competenze (articolo 15 TUE) agendo come organo legislativo, e non limitando il suo ruolo a fornire impulso all’UE e a definire la sua direzione politica generale e le sue priorità. Nonostante il divieto del Trattato di esercitare tale funzione, il Consiglio europeo ha preso l’abitudine di dare istruzioni precise alla Commissione in merito alle iniziative legislative. Inoltre, ha trasferito il potere a strutture informali, non previste dai Trattati, come gli “Sherpa”: alti funzionari o diplomatici che agiscono per conto dei Capi di Stato e di Governo e discutono sulle questioni dettagliate dei fascicoli, poiché i membri del Consiglio europeo hanno solo un tempo limitato da dedicare ai negoziati. Questa strategia di delega è molto problematica, poiché gli Sherpa non hanno alcuna legittimità per prendere decisioni e sono totalmente fuori controllo.
Infine, vi è una tendenza del Consiglio a rifiutare di avvalersi delle proprie competenze, spesso indotta dal voto a maggioranza qualificata, e a rinviare invece le questioni legislative al Consiglio europeo. Ciò è fondamentalmente problematico, poiché il Consiglio europeo prende le sue decisioni all’unanimità su tali questioni e non è soggetto ad alcun obbligo di trasparenza (contrariamente al Consiglio nella sua capacità legislativa).
Inoltre, non vi sono obblighi formali o informali per il Consiglio europeo di scambiare opinioni con il Parlamento o la Commissione. attività complessive della Commissione sono sempre più guidate dal Consiglio europeo e dalle decisioni prese nelle capitali nazionali.
Le attività complessive della Commissione sono sempre più guidate dal Consiglio europeo e dalle decisioni prese nelle capitali nazionali.
La “intergovernamentalizzazione” è molto difficile da comprendere per i cittadini. Le sue ambiguità portano a valutazioni negative sul funzionamento dell’UE e sollevano dubbi sulla sua legittimità. La governance dell’UE è considerata oscura e distante, scollegata dalle preoccupazioni dei cittadini, ermetica ai principi democratici e basata su oscure negoziazioni. Questa situazione crea anche incertezze e tensioni interistituzionali.
La logica intergovernativa vuole dire dare adito ai chiacchiericci delle cancelliere nazionali e incentivare la frammentazione degli Stati membri impedendo che l’Unione europea parli con una sola voce.
L’elezione di Ursula von der Leyen
Il 18 luglio 2024 Ursula von der Leyen è stata eletta con 401 voti (un risultato migliore che nel primo mandato) alla Presidenza della Commissione dell’Ue. Il 27 novembre 2024 il collegio dei commissari europei è stato votato con 370 voti (54% il peggiore risultato mai ottenuto da un collegio).
Cos’è successo dal 18 luglio al 27 novembre?
Da quando i vicepresidenti si erano sottoposti alle audizioni parlamentari lo scorso 12 novembre, l’intero processo era andato in tilt per i veti incrociati su due candidati: la socialista spagnola Teresa Ribera e il meloniano Raffaele Fitto. La ministra alla Transizione ecologica di Madrid era stata presa in ostaggio dai gruppi di destra dell’Eurocamera su impulso delle delegazioni spagnole – il Partido popular (Pp), terza forza per numero di eletti nel Ppe, e il partito neo-franchista Vox che fa parte dei Patrioti per l’Europa (PfE) di Viktor Orbán, Marine Le Pen e Matteo Salvini – che volevano la sua testa perché la ritengono responsabile della catastrofe consumatasi nella regione di Valencia, dove le alluvioni del 29 ottobre hanno ucciso oltre 220 persone.
Manfred Weber, Presidente del PPE, ha assecondato e amplificato sul palcoscenico europeo i feroci attacchi dei suoi alleati spagnoli contro Ribera perché il Pp rischia di perdere il presidente della Generalitat (Comunità autonoma) valenziana, Carlos Mazón (che governa insieme a Vox), per la disastrosa gestione delle alluvioni.
La sera del 20 novembre 2024 i gruppi parlamentari di Partito Popolare Europeo, dei Socialisti&Democratici, di Renew Europe e dei Verdi europei hanno trovato un accordo e redatto un documento. L’unica cosa tangibile dell’accordo è che i 6 vicepresidenti andavano votati in blocco. Il documento è un semplice esercizio retorico senza alcun impegno.
Conseguenze di questo accordo:
- Socialisti&democratici, Renew Europe e Verdi europei sono cascati nel tranello di Manfred Weber accettando che una questione nazionale egemonizzasse il dibattito europeo. In questo modo hanno sancito la morte dell’europeismo. Per i socialisti&democratici europei (di cui fa parte anche il PD) questo era l’ultimo atto del naufragio della sinistra europea (ma anche di quella italiana. È ridicolo che Schlein, segretaria del PD, prometta tuoni e fulmini contro la nuova Commissione quando l’ha votata insieme a Fratelli d’Italia);
- Il collegio dei commissari ne esce indebolito così come il Parlamento europeo il cui comportamento è stato fortemente deludente e da cui ci si aspetterebbe ben altra autorevolezza;
- Infine, vi è stato un ulteriore colpo all’autonomia della Commissione dell’UE. Quando una questione nazionale egemonizza il dibattito europeo, tornano a galla le frammentazioni dei gruppi parlamentari e degli Stati membri (i socialisti&democratici europei si sono rotti in tre tronconi); inoltre, emergono i conflitti tra istituzioni e l’avvio di negoziati informali in tutte le direzioni al di là di quello che prevedono i trattati. Questo è uno degli effetti della logica intergovernativa.
È facile pensare che l’imperatice (così chiamano Ursula von der Leyen Presidente della Commissione dell’UE) si iscriva al registro della logica intergovernativa, modificando, ulteriormente, la natura originale della Commissione, definendo meglio le sue competenze e i suoi compiti anche dal punto di vista istituzionale. La Commissione non sarebbe più un ente autonomo e indipendente, ma garantirebbe il coordinamento di un segretariato al servizio delle capitali degli Stati membri.
Un regime parlamentare?
Alcune forze europeiste (almeno quelle che rimangono) potrebbero ridisegnare l’architettura istituzionale dell’UE corrispondente ad un perfetto regime parlamentare che preveda, tra le altre cose: una riforma del Parlamento europeo, la costituzione di due Camere, la elezione diretta del capo del governo (Commissione) magari a doppio turno, la definizione di competenze e compiti del governo e delle due Camere: insomma, una vera e propria Costituente europea.
Ma questo disegno sarebbe un ‘libro dei sogni, se non legato alla attuale situazione dell’Europa. Ora vi sono due elementi che influenzeranno radicalmente le sorti dell’UE:
- L’Ucraina: la conclusione o meno dell’invasione dell’Ucraina da parte di Putin determinerà l’esistenza stessa dell’UE – o una frammentazione definitiva (la lenta agonia – come la definisce Mario Draghi) degli Stati membri dell’Unione o una rinascita con nuovi criteri.
- Le elezioni tedesche del 23 febbraio 2025: in occasione del Premio ISPI 2024 dedicato a lui, Mario Draghi ha detto: “…la leadership franco – tedesca è certamente indebolita, ma non vedo altre leadership che sono emerse capaci di dirigere l’Europa verso un futuro comune. È un periodo in cui c’è sicuramente un vuoto di leadership. Credo che si debba avere la pazienza di aspettare l’esito delle elezioni tedesche, poi ne riparleremo… “.
Pietro Cistulli
(1) L’UE è composta da due consigli:
– Consiglio europeo; i capi di Governo e/o i capi di Stato
– Consiglio dell’Ue (Consiglio dei ministri di tutti i settori), più semplicemente detto “Consiglio “.